Viaggiare nella memoria per non dimenticare.
“Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”
— George Orwell, 1984
Lo scorso anno ho visitato l’Albania.
È stato un viaggio che mi ha colpita profondamente e non solo per la sua bellezza.
C’è un contrasto ancora forte tra una società molto giovane, che ha fame di progresso, e la memoria di un passato vivo e doloroso, ancora troppo recente.
Per capire a fondo la storia dell’Albania, Tirana è una tappa obbligata. Come la visita a Bunk’Art 1 e Bunk’Art 2.
Per me è stato come inciampare nelle pagine di 1984 di Orwell, che, casualmente, stavo rileggendo proprio in quei giorni.
Tra il 1978 e il 1985, Enver Hoxha fece costruire oltre 175.000 bunker in tutta l’Albania, rendendola il Paese con il più alto numero di bunker per metro quadrato al mondo.
Che si trattasse di ossessione paranoica o di una vera e propria sindrome dell’accerchiamento, poco importa.
Quei bunker venivano eretti mentre la popolazione viveva in condizioni di arretratezza insostenibili, privata dei più basilari diritti civili e politici: libertà di pensiero, di parola, di espressione, di stampa, di associazione, di religione, di voto.
Visitando quei tunnel, è ancora possibile intuire cosa abbia significato vivere sotto un regime autoritario, isolati dal resto del mondo, mentre chi deteneva il potere anteponeva ambizione e visione distorta della realtà al benessere di un’intera nazione.
Tendiamo a credere che certi orrori del XX secolo non possano più ripetersi.
Ma non è così. Basta guardare cosa sta succedendo nel mondo. Ogni giorno.
Rileggere Orwell e trovarmi in quei luoghi ha reso tutto spaventosamente attuale.
I famosi “due minuti d’odio” come strumento di controllo delle masse, gli slogan del Ministero della Verità —
“La guerra è pace.
La libertà è schiavitù.
L’ignoranza è forza” —
sembrano trovare nuove incarnazioni nel nostro presente. Altre manomissioni delle parole, altra propaganda; stessi meccanismi di potere, stessi strumenti di oblio: controllare il pensiero per dominare la realtà.
Camminare dentro quei bunker, diversi metri sottoterra, tra il freddo, il suono di sirene, le immagini in bianco e nero dei documentari e le testimonianze audio, ha lasciato un segno profondo.
È difficile uscirne indifferenti.
Un’esperienza sconsigliata a chi soffre di claustrofobia — in ogni senso. Ma necessaria.

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